Monday 26 September 2011

In odor di caffè


Ci sono tante leggende sulla scoperta del caffè, il pastore Kaldi che vede le sue capre agitarsi dopo aver mangiato i frutti di certe piante e Maometto ritemprato da una bevanda scura preparatagli appositamente dall'arcangelo Gabriele, ma l'immagine del vasto incendio propagatosi per miglia e miglia lungo gli altipiani dell'Abissinia, credo fornisca l'immagine più suggestiva. É un bagliore che si fa strada sulla linea dell'orizzonte a leghe di distanza come una miccia, associabile facilmente all'irruzione dell'alba. Ed il levarsi del sole significa risveglio anche per chi non abbia chiuso occhio tutta la notte.
Abbrustolendosi, le bacche rosse, tra le foglie allungate degli arbusti di “Qahwah”, devono aver sprigionato nell'aria l'odore di una casuale torrefazione che probabilmente un vento caldo dell'ovest avrà avuto la forza di spingere fin sull'altra sponda del Mar Rosso. Attorno alle mura della città di Mokha, i Sufi per primi nei loro monasteri ricavarono dai chicchi tostati una bevanda simile a quella che conosciamo noi oggi e i mercanti yemeniti fiutarono l'affare che li arricchirà per secoli.

Dalle quattro alle otto del mattino, sul ponte buio della nave, di caffè vien voglia di farsene più di qualcuno, ma anche in questo caso un buon caffè può diventare una specie di miraggio. Va a finire che ci si abitua a quello solubile, non senza aver tentato mille combinazioni: amaro, col latte, con molto zucchero, senza niente. Io adesso lo preferisco amaro, dopo aver provato per qualche giorno una strana ricetta di caffè e zucchero inumiditi e pestati assieme, prima di essere sciolti in acqua bollente. Ne veniva fuori un impiastro colloso dall'odore di bruciato, tanto più chiaro quanto i granelli erano resi fini mescolandolo dentro la tazza e da cui poi si creava una schiumetta che ricordava vagamente quella di un espresso.
Una preparazione troppo lunga e noiosa per una leggera alterazione in meglio del gusto. Presto si ritorna a vedere quell'impiastro con sguardo vacuo e a domandarsi: “ma che cosa sto facendo?

Durante il periodo che ho trascorso in Inghilterra, Carole, la mia housemate franco-brasiliana, col tono tra l'ironico e il supponente di chi allo stesso tempo vanta infinite piantagioni e centinaia di formaggi, mi chiese perché in Italia fosse così forte, anche affettivamente, la tradizione del caffè. Non mi ricordo cosa le risposi, inventai qualcosa sul momento che cominciava tipo “Come come mai? É perché..


NiccoD.

Tuesday 20 September 2011

Sos Pirati

Scusate se approfitto del blog per diffondere questi link, ho pensato di farlo perché il Circolo Marlowe, in fondo, è un porto dove si incontrano marinai, veri o immaginari che siano. Io no so se le petizioni, l'informarsi e il parlarne possa davvero servire in questa assurda situazione. Forse qualcuno me lo saprà dire. Non mi va di discutere tanto sulla faccenda, per me ha a che fare con un incontro che è stato importante. Se avete voglia dedicateci qualche minuto. Grazie.
La situazione:
http://www.beppegrillo.it/2011/09/gli_italiani_dimenticati_della_savina_caylyn/index.html
La petizione:
http://www.firmiamo.it/inondiamo-di-firme-la-farnesina-marinai-rapiti-liberi
Le ultimissime notizie:
http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2011/09/19/news/savina-caylyn-i-pirati-quot-avanti-con-le-trattative-o-torturiamo-gli-ostaggi-quot-1.825259Inserisci link

Saturday 17 September 2011

Cose dell'altro mondo

Andare a teatro oggi è diventato un lusso che non tutti possono permettersi, eppure, si sa, non sempre è stato così. E non mi riferisco solamente al puro aspetto economico, ma alla concezione stessa del teatro che, alle origini, era ben diversa.

Sebbene la Chiesa nel Medioevo avesse proibito gli spettacoli teatrali, fu proprio all'interno delle chiese che presero vita le prime sacre rappresentazioni, ovvero le messe in scena dei più importanti episodi biblici così che potessero essere compresi anche dalla popolazione che, per la maggior parte analfabeta, doveva assistere a funzioni religiose completamente in latino.

Il primo caso di rappresentazione di un episodio biblico per mezzo di attori fu il Presepe di Greccio, realizzato da San Francesco nei primi decenni del XIII secolo.

Tali spettacoli si spostarono successivamente fuori dai luoghi di culto, per conquistare infine le piazze e le vie delle città.

Nelle contrade di Firenze, le compagnie di attori usavano organizzare dei giuochi, cioè degli spettacoli, “per fare allegrezza e festa”, e ben presto tra i vari rioni si indissero gare a chi sapesse fare gli spettacoli migliori. Ed ecco il racconto del fiorentino Giovanni Villani di ciò che accadde in Borgo San Friano (oggi San Frediano), il giorno delle calende di maggio del 1304, ovvero il primo giorno del mese; racconto che Alessandro D'Ancona riporta nelle sue Origini del teatro italiano.


In fra l'altre, come per antico aveano per costume quegli di Borgo San Friano di fare più nuovi e diversi giuochi, sì mandarono un bando, che chiunque volesse sapere novelle dell'altro mondo, dovesse essere il dì di calende di maggio in su 'l Ponte alla Carraia, e d'intorno all'Arno; e ordinarono in Arno sopra barche e navicelle palchi, e fecionvi la somiglianza e la figura dello 'nferno, con fuochi e altre pene e martorj, con uomini contraffatti a demonia orribili a vedere, e altri, i quali avevano figure d' anime ignude, che parevano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissime grida e strida e tempesta , la quale parea odiosa cosa e spaventevole a udire e a vedere, e per lo giuoco vi trassono a vedere molti cittadini, e 'l Ponte alla Carraia, il quale era allora di legname da pila a pila, si caricò sì di gente che rovinò in più parti, e cadde colla gente che v'era suso, onde molte genti vi morirono e annegarono, e molti se ne guastarono le persone, sicché il giuoco da beffe avvenne col vero, e com'era ito il bando, molti per morte n'andarono a sapere novelle dell'altro mondo.


Questa e altre testimonianze di questo tipo, sono gli unici documenti che ci rimangono oggi per poter immaginare cosa significasse “andare a teatro” all'epoca e capire quale ruolo rivestisse il teatro, il medium di massa per eccellenza del tempo.

Com'è noto, nel Medioevo la vita terrena non costituiva che una fase di passaggio alla vita nell'aldilà, di importanza ben maggiore: la condotta dell'individuo mortale decideva il destino della sua esistenza immortale.

Tale concezione del tempo e della vita influenzava non solo il teatro, ma l'intero canone artistico medievale, in particolare le arti figurative rivestivano un ruolo centrale, essendo l'immagine un mezzo efficace ed immediato per istruire la grande massa della popolazione.

Mi vedo quindi quasi costretta a concludere anche questo post con un riferimento alla Cappella degli Scrovegni, a Padova, la cui realizzazione e decorazione per mano di Giotto risale proprio agli stessi anni dell'incidente del Ponte alla Carraia. La Cappella, voluta dal ricco banchiere patavino Enrico Scrovegni, rappresentava una sorta di ex voto col quale poter espiare i peccati, suoi e della sua famiglia di noti usurai. Grazia che poteva permettersi solamente chi disponeva di grosse somme di denaro, quindi. Ma, tralasciando le “regole” del tempo, vorrei invece considerare l'affresco che copre l'intera parete della controfacciata e che rappresenta il Giudizio Universale, leit motiv per eccellenza della storia dell'arte, e non solo quella medievale. E vorrei soffermarmi su un particolare: i due angeli che, rappresentati nella parte superiore, ai lati di una grande trifora, srotolano letteralmente il cielo, quasi a tirare il sipario tra vita terrena e vita ultraterrena, permettendoci forse di poter capire un po' meglio quale fosse allora la concezione del teatro e il suo legame con la vita.


Beh, e va da sé, nel Giudizio Universale lo Scrovegni compare dalla parte dei beati.


Sara


(Per chi fosse interessato, il testo di D'Ancona, che è composto di due volumi, si può trovare in versione digitale sul sito http://www.archive.org/search.php?query=creator%3A%22D'Ancona%2C%20Alessandro%2C%201835-1914%22)

Wednesday 14 September 2011

Comizi d'amore (1965)

Umile omaggio a Pasolini. Umile omaggio ad Ungaretti.



Nella ricerca di un luogo che fosse adatto per ambientare Il Vangelo secondo Matteo, Pier Paolo Pasolini intraprende un viaggio attraverso l'Italia e, spinto da un' instancabile curiosità e una grande passione, dà vita a Comizi d'amore. Munito di microfono, Pasolini si aggira tra i più diversi ambienti sociali, ripercorrendo la penisola da nord a sud, e chiede di poter sapere l'opinione degli italiani riguardo sessualità, amore, erotismo: contadini, operai, studenti, massaie, attori, scrittori, nessuno è risparmiato. Fornisce così una fotografia del Paese all'inizio degli anni '60 del secolo scorso (era il '63, il film uscirà poi nel '65).

Leggendo i giornali in questi giorni, ci si è accorti della comparsa di altri “Comizi d'amore”: mi riferisco al programma che pare abbia in serbo Michele Santoro per la prossima stagione. Staremo a vedere lo spaccato dell'Italia del 2011. La curiosità cresce.

Sara

Come si cambiano i tempi

Vi siete mai chiesti cosa succede a bordo di una nave quando si attraversano i fusi orari? Probabilmente no, ma non importa. Questo video vi illuminerà ugualmente, facendo “chiarezza”, su una procedura che talvolta può essere molto seccante, specie quando si cambia l'ora per due o più giorni consecutivi.
In questi casi, succede di vedere l'orologio del Laptop, che di solito è quello che ci si dimentica di cambiare, e di rendersi conto, alle 16, che l'altro ieri erano ancora le 14 e si poteva continuare a dormire, mentre adesso s'è già tardi sul ponte. Viene da pensare allora al perché la nave non possa mantenere sempre la stessa ora, la sua, e solcare con quella tutte le rotte per l'est e per l'ovest, indifferenti alla posizione del sole.




Nicc. Doberdob

Thursday 8 September 2011

Conclave al gusto fragola

Ricordo la prima volta che mi chiamarono papa. Che sono stato papa.
Non papà, attenzione, mi sarebbe piaciuto ma non è andata così. Colpa di Eleonora e dei miei genitori, credo, ma insomma, non ha senso parlarne adesso.
La prima volta che fui papa, dicevo, stavo passeggiando per uno stanzone cinquecentesco, affiancato da un alto corridoio cinquecentesco e alte finestre cinquecentesche allo stesso modo. Passeggiavo piano, in mutande come mi piace e sono solito fare verso maggio, e dalla luce indovinavo il tramonto putrido, trascorrente veloce verso l'imbrunire. I pini marittimi e qualche cipresso, fuori, mi avrebbero dato piacere e sollievo, ed ero indeciso sull'opportunità di avvicinarmi alla terza finestra- la mia preferita- e sui tempi dell'avvicinamento; volevo gustarmelo, lasciare la visione del giardiniere al lavoro sul bel prato all'ultimo istante, come il boccone più buono a tavola, o il gusto migliore nella coppetta gelato. La sorpresa è ancora importante. La conquista.
E proprio di gelato avevo sporche le mani, un gelato alla fragola appiccicoso e rosa. Mi incollava le dita e io mi divertivo a lasciare impronte sulla pietra, in certi angoli polverosi che qualcuno avrebbe poi dovuto- e saputo- pulire.
Preso da questo dubbio seguitavo a camminare piano, l'inguine sudato e un principio di mal di testa. Cibalgina, o aspirina, due volte al giorno. Chissà come agisce col gelato: ma no, farnetichi, questo è troppo. La luce era azzurra e indaco, le ombre sempre più brune si alternavano a fasce verticali chiare, in una successione senza importanza. Io stavo pensando proprio in quel momento all'odore della piega dell'inguine quando sudo, un odore che mi ha sempre ricordato l'erba- una canna intendo-, e al sollievo di un bidet anche quello da centellinare. Una grattatina, magari, ma le dita fragolate si sarebbero appiccicate un po' al pelo pubico: niente di male, ma solo mi frenava l'idea di rovinare l'odore natural de inguine stabaccato.
La pancia, tonda grossa e glabra, da ventenne ben paciuto, splendeva gloriosa nella luce cangiante. Accenni di rosa, sicuramente filtrati dal grosso pino.
In quel momento mi chiamarono, piano come avevo sempre raccomandato di fare. Un sussurro: eminenza... ehm...santità.
In un istante capii tutto; non era difficile, oddio, erano tutte cose ben calcolate e stabilite dagli altri e da me stesso. Pensai ad Eleonora e ai suoi capelli castani, biondi d'estate. Dei boccoli bellissimi, ancora più belli quando ricadevano attorno a un capezzolo (il sinistro aveva di fianco un piccolo neo molto bello). Molto bello. Eleonora era molto bella, ma era finita.
Forse perché, i due pensieri viaggiano sempre insieme nella mia testa, i miei genitori mi sottoposero a quell'operazione. Non c'è un motivo apparente o evidente, non era necessaria, ma quando superai i tredici anni decisero di castrarmi ("perché viviamo ancora in un appartamento, sai", mi dissero). Sarebbe interessante un'indagine psicologica, o almeno un dialogo, ma è sempre mancata l'occasione sia per l'una che per l'altro. E così è tutto sommato logico il fatto che non abbia avuto un figlio, anche se mi ci vedevo. Mi ci vedevo eccome. Ma sarà stato il feeling imperfetto con Eleonora, o la castrazione (che le due cose siano legate?), e insomma: non è mai avvenuto.
Così quella sera, quando mi dissero- sussurrarono- un futuro assicurato, a tempo indeterminato, pensai a lei solo una volta. Pensai al figlio mai arrivato. Ai genitori, ma di sfuggita. Ancora al di lei castano, al di lei biondo, sul di lei capezzolo. Rosa. Da papà a papa, mi sussurrai alzando le spalle e voltandomi seminudo.
"Venga, santità, dobbiamo prepararci".
Come dire: a volte basta poco.


umb.
{pubblicato per la prima volta su Het Monster n°1 e sul blog personale}

Wednesday 7 September 2011

Il nome per il nuovo Partito

In riferimento alle nuove intercettazioni.

Se avessi i media di B., se avessi i soldi di B., gli amici di B., la statura morale di B., gli interessi e, perché no, anche le capacità di B., fonderei un partito: Forza Paese di Merda, che in seguito cambierei, ovviamente, stando attento a non sforzarmi troppo sul predellino, in PdM. Allora sì che sarebbe facile la vita non avendo all’opposizione che puntini di sospensione: Paese Di....

Post-post:

Non ce ne voglia il lettore, se con questo post il blog ha scelto di declinare il suo tono abituale ai tempi odierni; ma chiedo io: come esimersi dal commentare? Certo, si dirà c’è modo e modo, a cui risponderemo, a nostra parziale discolpa, che è voluto il riferimento alla corrente di pensiero, nutrita di menti eccezionali, che vede nell’intestino cieco l’unica via per una trasformazione sostanziale di questo mondo.

A elencare tutte le citazioni illustri si farebbe facilmente nottetempo, perseguendo il vano tentativo di fornirne il giusto compendio, tanto più che queste si spostano in tutte le direzioni, occupando molti dei settori più ambiti dalla sensibilità occidentale.

Citeremmo allora Guido Ceronetti: “se il colon è intasato, l'uomo cessa di essere cogitans”, senza dimenticar di menzionare la controversa opera “Merde d’Artiste” di Piero Manzoni o la legge di conservazione della massa di Antoine Lavoisier: il “nulla si crea e nulla si distrugge” che dal XVIII secolo sottintende una concezione digestiva della materia che ci circonda. Mai e poi mai, tralasceremo il buon Jean-Paul (ah il narciso Jean-Paul!) Sartre, che faceva dire ai suoi rivoluzionari ne “Le Mani Sporche” che per cambiare qualcosa “Il faut mettre les mains dans la merde!”, ovvero il come sia necessario affondarci le mani [nella m. Ndr.]

Si dirà “a noi che ci importa, abbiamo già avuto Mani Pulite” ed è a questo punto che si preferisce rinunciare ad ogni ulteriore tentativo di giustificazione.
Il Follower attento saprà che da noi non si usa normalmente ricorrere a certe parole.


Cercheremo di recuperare in fretta,


Niccolò “Pruderie” Doberdob

Saturday 3 September 2011

Porsi un limite

Pensiero sulle Pitture Rupestri

Giraffa, Acacus, Libia


Se pensate che due triangoli possano bastare, uno per la testa e l'altro più grosso per il tronco, a formare il corpo di un bisonte o una linea, inseguita da altri simili segmenti, a restituire l'immagine di un cacciatore che vibra la sua lancia, vi sbagliate di grosso. Ma ancora di più vi trovereste in errore a credere che ogni metro quadrato di parete rocciosa fosse considerato adatto a scalfirci sopra i tratti da ripassare a tinte ocra, ematite e carbone, e che queste raffigurazioni si trovassero sulla soglia delle caverne alla vista di tutti, lambite dalla luce del sole.
Al contrario, le pitture rupestri sono nella maggior parte dei casi lontane dalla portata di uno sguardo distratto e collocate in fondo, in punti difficilmente accessibili, in cui per arrivare si deve scommettere sulle spanne lasciate libere dai faraglioni sommersi e, da questi, maggiormente riparate dal magnetismo della superficie.
Si era nel paleolitico superiore, tra i 30 ai 35 mila anni fa, un'epoca in cui alle prime pitture murali coincide l'inizio del culto dei morti; circostanza da cui è stato dedotto come queste potessero essere opera di sciamani, soli o a capo di piccoli gruppi, dediti a celebrare riti propiziatori inscenando coi loro disegni una realtà parallela in grado di influire sull'effettivo successo di situazioni quotidiane, ma cruciali, come ad esempio una battuta di caccia.
In molti sostengono così che l'arte trovi la sua origine al delinearsi di un sentimento religioso con un maggior grado di complessità -una nuova comunicazione rivolta al divino- e seguendo questa via molti libri di storia lasciano ad intendere come il senso del bello possa esserne stato solo una conseguenza.


Eppure io non posso fare a meno di pensare ai chissà quanti segni, forme e accostamenti di colore avranno catturato l'attenzione di quegli uomini prima di essere da loro riempiti di significato. E per questo stesso motivo, chissà quante strane foglie o nuvole li avranno ricordato profili di animali, e ciocche di capelli intrise di fango, rosso perché ricco di ferro, o ancora sassi e rametti risparmiati al fuoco e messi da parte in un angolo per ritornarci successivamente con l'immaginazione e scoprire, infine, di averne imparato a ricavare i limiti delle cose.

Se c'è qualcosa che credo di poter dedurre dalla tecnica affinata e dalla collocazione delle pitture murali in fondo alle grotte, non è tanto la nascita dell'arte, quanto un sistematico occultare, nella storia dell'uomo, ciò che d'improvviso viene caricato di significato e per questo soggetto a perdere i suoi “contorni”.

Si cerca allora di ricrearli, ma le sfaccettature rimangono e non è più possibile riportare allo stato precedente ciò a cui si partecipava nell'immediato e l'imboccatura delle caverne diventa il livello zero tra due dimensioni, l'accesso ad un mondo sotterraneo i cui cunicoli al lume della fiaccola si gremiscono di segni.

Col tempo, il nome di Dio diventerà impronunciabile per alcuni e per altri su ogni particolare del creato incomberà il bando dell'iconoclastia. Non si conteranno le sette, le associazioni e le confraternite segrete legate dal fatto di non comprendere segretamente, ciò che qualcun altro di buon grado, forse più saggio, non si sforzerà di comprendere alla luce della piazza o, all'opposto -ma isolato- concentrandosi tutto in una volta all'ombra d'un albero di fichi.



Nicco.